Pieve di San Pietro in Carnia
Pieve Matrice di San Pietro in Carnia
Zuglio
Per capire la storia di questa antica Pieve è necessario ripercorrere le vicende che precedettero la sua origine.
Il “Forum Iulium Carnicum” (l’attuale Zuglio) venne proclamato Municipium al tempo di Augusto; dopo l’editto di Costantino venne inviato nella zona un Episcopus per fondare una chiesa nel centro romano. Alla fine del trecento esisteva già una Basilica Cristiana; accanto alla stessa si trovava il battistero per il battesimo ad immersione. Basilica e battistero vennero distrutti dagli Avari intorno al 615.
Dopo la metà del Settimo secolo si iniziò la costruzione di una nuova basilica, che doveva essere di differente struttura e più ampia della precedente. Ma anche questa fu distrutta verso il 715 durante l’invasione degli Slavi che, al loro passaggio, rasero al suolo Iulium Carnicum. Perciò il timore di nuove incursioni spinse i Cristiani a costruire un ambiente più sicuro sulla cima del monte che si chiamerà di San Pietro.
Nel 1312 il Patriarca di Aquileia, Ottobono, contribuiva con il Preposito di San Pietro, Manno Mannini di Firenze, alla costruzione della Chiesa gotica attuale con un’unica navata e tre altari; sul lato destro del presbiterio venne conservata la sagrestia precedente. Quest’opera fu realizzata incorporando l’esistente parete settentrionale con le finestre romaniche che si vedono tuttora; si ebbe cura di salvare anche la bifora romanica esterna.
Nel 1501 ebbe inizio un ampliamento: l’intervento comprendeva l’aggiunta di una navata a meridione, progettata secondo i canoni gotici della precedente, sostituendo la parete imprigionata con due colonne in tufo; si doveva ricavare un pulpito verso la sagrestia con una scala che permettesse di salire nella costruenda sagrestia superiore e poi alzare la porta principale, rimodernare la tettoia e rimaneggiare il campanile. Nella chiesa così sistemata trovarono posto quattro altari e un battistero.
All’inizio del 1700 vennero eseguite ulteriori modifiche.
La chiesa con tutte le sovrastrutture del 1500-1600-1770, è diventata un complesso asimmetrico, assai interessante dal punto di vista architettonico. Importanti opere d’arte sono conservate in questa pieve: sculture di Domenico da Tolmezzo, staccate dall’altare maggiore durante i due furti avvenuti nel 1970 e 1981, straordinaria traduzione plastica di simili ancone dipinte del rinascimento veneziano. Degna di nota la tela rappresentante la conversione di San Paolo (XVI-XVII secolo), opera legata a formule stilistiche proprie del Il Pordenone. L’organo, di stile barocco, ha sostituito il precedente del 1500 ed è stato recentemente restaurato.
Interessante è pure la tela rappresentante la consegna delle chiavi a San Pietro di Giovanni Francesco Pellizzotti del 1791.
La scala in noce del 1740 conduce alla sagrestia superiore che fu affrescata da Giulio Urbanis di San Daniele nel 1582.
La statua di San Pietro, di artista tedesco del 1400, è una delle poche opere salvate dalla razzia dei ladri del 1981.
L’altare della Madonna del Rosario è opera del pittore e intagliatore Giovanni Antonio Agostini (1590).
Gli stalli del coro del 1734 sono opera di Antonio Leschiutta da Zuglio. Il Cristo ligneo del 1550, situato nell’architrave dell’arco principale, misura quasi 2 metri di altezza e proviene da bottega nordica.
L’ancona lignea di Sant’Antonio Abate (1550), in stile rinascimentale, è racchiusa in due incorniciature barocche e viene attribuita a Gian Domenico Dall’Occhio di San Vito al Tagliamento.
Il battistero è formato da una coppa in pietra rossa, opera di artista ignoto del 1659, e da un tabernacolo ligneo realizzato da Vincenzo Comuzzo nel 1661.
All’esterno il portico ha subito dei rimaneggiamenti, ma è stata salvata la bifora romanica. Nella parete, nella facciata e nelle colonne sono state murate pietre d’arte longobarda, alcune ancora visibili.
Il portone e il portale sono di struttura gotica. Il portone in ferro è opera di Nicolò Jancilli di Tolmezzo (1449).
Il pianoro che si incontra all’inizio della salita che porta fino a questa Pieve ha una storia molto antica.
Ogni anno, in questo luogo, nella ricorrenza dell’Ascensione, si svolge il rito del “Bacio delle Croci“: ciascuna chiesa della vallata, che un tempo faceva parte della Pieve di San Pietro, invia la sua Croce astile ornata di nastri multicolori, per rendere omaggio alla Chiesa Madre.
© Foto di Leschiutta Giuliano
Chiesa di Sant’Andrea
Lovea
Da un documento risulta che in Luveja/Lupeja (Lovea), nel XIII secolo, esisteva un ospizio di religiosi addetti all’assistenza spirituale e corporale dei pellegrini che dall’Alta Val d’Incaroio si recavano alla Pieve di Illegio. Nel 1327 d.C. il Preposito della Pieve di S. Pietro, nelle sue disposizioni testamentarie, fa cenno alla Chiesa di Lovea dedicata a S. Andrea apostolo, dove “…di tanto in tanto viene un sacerdote ad officiare”.
Nel 1470 Lovea, con Rivalpo, Valle, Piedim, e Cabia, passa alle dipendenze della Chiesa di S. Stefano di Piano d’Arta, e soltanto nel periodo compreso tra il 1749 ed il 1796 a Lovea è presente un cappellano stabile, don Andrea Sandri, nato nel 1721 nella casa dei Pirîz (la sua tomba è segnata sul pavimento della chiesa da una lastra di marmo rosso a sinistra, vicino all’ingresso).
Nel 1924 il Vescovo Mons. Rossi firma il decreto di erezione a parrocchia indipendente della Chiesa di Lovea.
Sul soffitto e sulle pareti del transetto in alto sono raffigurati alcuni Simboli sacramentali(Fonte, Agnus Dei, Giglio coronato, Pellicano) con al centro il simbolo della Trinità.
Le statue della Madonna e di San Luigi sono state commissionate alla Bottega d’arte Stuflesser di Val Gardena durante il mandato sacerdotale di don Pietro Pertoldi da Lestizza, a Lovea dal 14/8/1920 al 2/9/1921.
Durante il mandato sacerdotale di don Lenarduzzi 14/5/1922 al 14/5/1925 viene demolita la vecchia cella campanaria e costruita una nuova più grande, al fine di poter ospitare tre campane al posto delle due asportate dagli Austriaci invasori nel giugno del 1918.
Le nuove campane arrivano in paese, trainate su slitte da Stazione Lovea, il 20/3/1923. C’è pure una campanella da collocare all’esterno della Chiesa, ad uso catechismo.
Nel 1439 la peste cancella a Lovea quasi ogni presenza umana: sopravvivono due soli uomini, Nicolò Vinturo e Leonardo, che per farsi aiutare nei lavori della campagna ricorrono all’aiuto di altre persone provenienti da Castoia, dalla val d’Incarojo, da Imponzo e da Trelli. Il paese pian pianino si ricostituisce, per raggiungere nei secoli successivi le 400 presenze. Oggi il numero delle presenze raggiunge a malapena il centinaio.