Chiese di Paularo
Chiesa di San Vito
Paularo
Il visitatore che arriva a Paularo non può non essere colpito dalla mole imponente della chiesa parrocchiale di San Vito che domina il paese dall’alto di un colle alluvionale. Una suggestiva emergenza paesaggistica che è resa ancora più singolare dalle possenti costruzioni murarie in blocchi di pietra grigia che la sostengono. Si tratta di un complesso monumentale reso ancora più imponente dal pronao ottocentesco sorretto da quattro colonne giganti. Pacifico Valussi, salito nella Valle d’Incaroio a far visita a Giambattista Bassi che aveva da poco completato la sistemazione della facciata (1851), si disse ammirato anche per la scenografica gradinata di accesso, tanto da definire «il tempio» una delle tre meraviglie del Friuli, con il Ponte del Diavolo a Cividale e il duomo di Gemona.
Il Settecento è stato il secolo dominato, nell’alto Friuli, dalla figura di Iacopo Linussio.
L’affermarsi di due illustri casati della Valle d’Incaroio, quelli dei Linussio e dei nobili Calice, ebbe riflessi anche sulla chiesa di San Vito. Nel 1717 fu infatti proprio un Linussio, Giambattista, ad essere eletto dalla comunità a sostituire il defunto parroco Matteo Silverio da Paluzza. Fu lui a fondare la confraternita di San Valentino, ma scomparve nel 1732. Fu sepolto ai piedi dell’attuale altare delle Anime purganti. Fu chiamato a succedergli il reverendo Gerolamo Calice, della nobile famiglia che dalla seconda metà del Cinquecento si era insediata a Paularo per controllare il commercio dei legnami per la Repubblica Veneta. Morì l’anno successivo e lo sostituì un parente, Pietro Antonio Calice che era dottore in utroque. Questi dovette gestire la separazione della chiesa di Dierico, che ebbe un curato il 14 dicembre del 1737. A Paularo costruì per sé una nuova canonica, nel borgo di San Antonio, alle spalle del palazzo di famiglia e in vicinanza dell’Oratorio di Sant’Antonio edificato da Tommaso Calice nel 1674, nello stesso anno in cui fu insignito del titolo di barone del Sacro Romano Impero per meriti militari. Anche Pietro Antonio morì giovane, appena trentasettenne, nel 1742. Il successore, Leonardo Antonio Capellani di Rivalpo, fu il parroco che si impegnò per la ricostruzione della chiesa di San Vito e che diede avvio ai lavori grazie anche al sostegno dei Linussio. La popolazione era aumentata rapidamente e la vecchia chiesa, segnata dal tempo, forse con i muri crepati anche dai terribili terremoti del 1511 e del 1700, non era più in grado di soddisfare le esigenze. Nel 1742 la Fabbriceria deliberò la demolizione del vecchio edificio e di sostituirlo con uno nuovo.
Nel 1745 il parroco gettò «le fondamenta dell’attuale coro, ne innalzò fino a un certo punto le pareti, sovrapponendo loro un coperto di tavole». Questa costruzione fu innalzata in breve grazie alla generosa partecipazione dei fedeli e si rese indispensabile anche per dare riparo, nel 1747, all’altare marmoreo offerto da Iacopo Linussio (sul retro è immurata una lapide in marmo bianco, con elegante cornicetta scolpita e con l’epigrafe D.O.M. │ Jacobi Linussii │ pietate │ MDCCCXLVII) Due anni dopo Leonardo Antonio Capellani morì e fu chiamato a sostituirlo un parente, Giovanni Floreano Capellani che proseguì nell’impegno di ricostruzione e fondò la confraternita di San Gerolamo. Morì agli albori del nuovo secolo (1804), dopo aver retto la chiesa di Paularo per ben cinquantacinque anni. Si deve alla sua opera la ricostruzione della chiesa dei Santi Vito, Modesto e Crescenzia nella forma e struttura attuale, almeno per quanto riguarda gli interni. I lavori di demolizione a funditus, della vecchia chiesa di S. Vito vennero iniziati nel 1769. La chiesa fu «rifabbricata in bella forma nel circolo di 16 mesi, essendo ora [1772] già stabilito il coperto». La ricostruzione dell’edificio fu terminata da Domenico Schiavi nel 1785, anche se in una dichiarazione sottoscritta da Angelo di Domenico Schiavi architetto il 3 luglio del 1792 davanti ad un notaio si afferma che restavano da completare il coro e la facciata.
Per una ventina d’anni i lavori di demolizione della vecchia chiesa restarono sospesi. Fu la morte di Iacopo Linussio a provocare forse la lunga sospensione nei lavori; veniva, con la sua scomparsa, a mancare la certezza del sostegno economico che aveva fino ad allora garantito. L’imprenditore tolmezzino aveva favorito l’incarico di stendere il progetto per la chiesa di Paularo e poi di dirigerne la ricostruzione a Domenico Schiavi di cui aveva già sperimentato la perizia e l’eleganza delle soluzioni architettoniche per il palazzo di famiglia. E se nello stesso anno della morte del mecenate l’altare da lui donato poteva essere elevato nel centro del nuovo coro, ciò lascia intendere che Domenico Schiavi aveva già fornito gli estremi fondamentali del progetto, tanto da consentire di erigere le strutture portanti del presbiterio su nuove fondazioni.
Gli interventi ottocenteschi e il completamente della facciata grazie all’architetto Giambattista Bassi e al pittore Filippo Giuseppini. Il restauro e il rimontaggio dell’organo ad opera di Giovanni Battista De Corte, della famiglia di organari di Ovasta. Il soffitto ed i quattro riquadri (il Sacrificio di Melchisedec, l’Adorazione dei pastori, l’Adorazione dei Magi e il Sacrificio di Isacco) affrescati ad opera di Antonio Schiavi, l’altare delle anime completato da Francesco Pellizzotti, il “mistrùt” nato a Villamezzo di Paularo nel 1740, figlio del cramaro Giovanni Battista che operava in Moravia. L’altare dei Santi Valentino e Gerolamo, sempre ad opera del Pellizzotti, il presbiterio e l’altare maggiore, altri numerosi dipinti del Pellizzotti, l’altare della Madonna del Rosario, l’altare del Crocifisso.
© Testo di Egidio Screm
© Foto di guidartefvg.it
Cappella della Beata Vergine di Lourdes
Paularo
Costruita negli anni precedenti la II Guerra mondiale, la cappella è stata consacrata l’11 febbraio del 1936. Voluta dal parroco don Primo Zuliani, infaticabile nella creazione di spazi destinati alla comunità (asilo infantile, aule per il catechismo, sala per proiezioni cinematografiche e rappresentazioni teatrali), la cappella doveva favorire le persone più anziane che mal sopportavano la ripida salita alla chiesa di San Vito per le funzioni religiose. In poco tempo quasi tutte le funzioni furono infatti trasferite nella nuova chiesa in centro del paese, vicina al Municipio ed alle scuole.
L’edificio fu eretto sotto la direzione di un bravo artigiano, Gio. Batta Segalla ‘Crodi’ che compare in primo piano nella fotografia scattata dal figlio, il noto fotografo Giacomo, in occasione della conclusione dei lavori di erezione dei muri della chiesa. Lo stesso artigiano ha costruito in gesso dipinto la parete rocciosa e la grotta che sta sopra l’altare e nella quale trovarono sede le due statue della Madonna e della Santa Bernadetta, riprese durante un’apparizione. Ai lati dell’altare sono state poste due statue lignee raffiguranti il Sacro Cuore e S. Antonio da Padova.
Nell’immediato dopoguerra la chiesa fu ampliata mediante l’aggiunta di un coro separato dall’aula da 4 colonne con coronamento dorico. Il soffitto fu sistemato in finti cassettoni con dipinti geometrici e in toni spenti, rappresentanti la simbologia della fede cristiana. Nel 1960 fu completato il campanile e nell’anno successivo fu creato un atrio mediante l’erezione di un pronao di non eccelso disegno architettonico, con quattro pilastri e il timpano rivestiti in lastre di travertino.
Recenti restauri post terremoto hanno un po’ abbellito l’interno. I cassettoni del soffitto sono stati rivestiti da tavole di legno chiaro, ma nel complesso la chiesa continua a mostrare i segni del periodo storico in cui fu edificata, soprattutto nella povertà dei materiali.
Affiancato alla chiesa si sviluppa un complesso edilizio assai articolato che comprende scuola materna, appartamenti, aule e la rinnovata Sala Unione, dedicata al monsignor Zuliani che volle intensamente il complesso.
© Testo da guidartefvg.it
Chiesetta dei Ss. Fabiano e sebastiano
Villafuori
A un centinaio di metri dal palazzo Calice di Villafuori, la chiesetta gentilizia si affaccia con il fronte principale ad ovest, in una curva a gomito della stretta strada. Risale al secolo XVII, costruita nel 1688 dal ramo della famiglia Calice che si era trasferito nella casa di famiglia esistente sull’ampio terrazzo alluvionale di Villafuori. Venne eretta su fondo e a spese dei fratelli Giacomo e Pietro Calice, quest’ultimo diventato sacerdote, vi esercitò il ministero a servizio della famiglia e dei numerosi inservienti fino alla morte. Seguirono altri sacerdoti di famiglia. In seguito, quando la popolazione della borgata aumentò, si fece titolo di ‘Oratorio pubblico’.
La chiesetta è caratterizzata da un’aula rettangolare con l’abside poligonale dal quale si accede lateralmente ad un vano irregolare destinato a sacrestia. L’aspetto esterno dell’edificio è decoroso, con cornici e stipiti in pietra grigia, modanate quelle delle aperture sulla facciata. Un cornicione di pietra nel sottotetto è sorretto da fitti “barbacani” di sostegno. Il portale d’ingresso rettilineo, con timpano, è sovrastato dallo stemma gentilizio e da un campaniletto monoforo . Nell’interno, pavimenti lastricati di pietra ed elementi di marmo grigio e rosa fior di pesco. L’altare marmoreo in marmi policromi è dei gemonesi Pischiutti, la mensa è sormontata dalle statue in pietra bianca raffiguranti l’Assunta e i Santi Fabiano e Sebastiano.
© Testo da guidartefvg.it
Sacello di SAnta Maria di Loreto
Villamezzo
La frazione di Villamezzo, che fu centro importante del Comune delle Tre Ville, ha diversi edifici storici di un certo pregio. Nella porzione più alta, lungo l’acciottolato che l’attraversava verticalmente, è stata recuperata dal degrado e dall’incuria una chiesetta edificata nel 1745. A pianta ottagonale, il piccolo edificio è rialzato dal piano stradale sul quale si affaccia con il fronte principale, costituito da tre facce del prisma ottagonale. La porta centrale d’ingresso è incorniciata di pietra, con sovrastante timpano, una nicchia ed infine coronata da un elaborato campaniletto monoforo. Il tutto è incorniciato di ‘tof’ come le due piccole aperture laterali, opposte ed inferriate a rombi. Lo schema attuale è del XVIII secolo come riportato nell’iscrizione collocata sopra il portale d’ingresso, ma l’impianto originale è anteriore al 1700, dato che nel 1709 un preesistente saccello venne distrutto, come tutta la Villa, nella notte di Natale da un devastante incendio.
Una pietra inserita nel timpano scanalato a cornice e in rilievo, centralmente riporta l’iscrizione “G.D.N. [Giacomo Del Negro] FF. D.S.D. 1745”. Sopra è collocato un piccolo cippo per segnalare la dedica votiva. Un tempo l’arredo era impreziosito da una pala, ora collocata altrove e gli arredi sono stati asportati.